Cronache da "Neverland": Come funziona la diversità

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    Le Scienze 556 dicembre 2014

    Come funziona la diversità


    Avere intorno persone diverse da noi ci rende più creativi e diligenti, e ci spinge a impegnarci più a fondo nel lavoro


    di Katherine W. Phillips


    In breve
    Decenni di ricerche di psicologi, sociologi, economisti e demografi mostrano che i gruppi socialmente diversificati (in cui c’è diversità di razza, origine etnica, genere e orientamento sessuale) sono più innovativi di quelli omogenei.
    Sembra ovvio che un gruppo con diverse competenze individuali debba essere migliore di uno omogeneo nel risolvere problemi complessi e inconsueti. Meno ovvio è che la diversità sociale agisca nello stesso senso, ma i dati scientifici mostrano che è così.
    Il motivo non è solo che le persone con retroterra diverso apportano informazioni nuove. Il semplice fatto di interagire con persone differenti costringe ogni membro del gruppo a prepararsi meglio, prevedere punti di vista alternativi e aspettarsi che raggiungere una posizione comune richiederà uno sforzo.

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    La prima cosa da riconoscere sulla diversità è che può essere difficile. Negli Stati Uniti, dove il dialogo sull’inclusione è relativamente avanzato, persino pronunciare la parola «diversità» può provocare ansie e conflitti. I giudici della Corte Suprema sono in disaccordo sulle virtù della diversità e su come ottenerla. Le grandi aziende spendono miliardi di dollari per accrescere e gestire la diversità sia al proprio interno sia all’esterno, ma continuano a essere accusate di discriminazione nei tribunali; i ranghi direttivi del mondo degli affari restano nettamente bianchi e maschili.
    È ragionevole chiedersi cosa ci dia di buono la diversità. Che la diversità delle competenze sia vantaggiosa è ovvio – nessuno fabbricherebbe una nuova automobile senza mettere insieme ingegneri, progettisti ed esperti di controllo qualità – ma la diversità sociale? Quali sono i vantaggi della diversità razziale, etnica, di genere e di orientamento sessuale?
    Le ricerche hanno mostrato che la diversità sociale all’interno di un gruppo può causare disagi, interazioni più aspre, mancanza di fiducia, aumento della percezione dei conflitti interpersonali, minore comunicazione, minore coesione, maggiori preoccupazioni per possibili mancanze di rispetto e altri problemi. Qual è, allora, il lato positivo? Il fatto è che se si vogliono costituire gruppi e organizzazioni capaci di innovazione la diversità è necessaria. La diversità accresce la creatività. Spinge alla ricerca di nuove informazioni e punti di vista, migliorando processi decisionali e risoluzione dei problemi. La diversità può dare migliori bilanci aziendali e apertura verso scoperte e innovazioni di grande portata. Anche il semplice contatto con la diversità può cambiare il modo di pensare di una persona. Non si tratta di pii desideri: sono le conclusioni che traggo da decenni di ricerche di esperti di organizzazione, psicologi, sociologi, economisti e demografi.


    Informazione e innovazione
    La chiave per capire l’influenza positiva della diversità è il concetto di diversità informazionale. Quando si mettono insieme persone in un gruppo che deve risolvere un problema, ciascuno apporta informazioni, opinioni e modi di vedere diversi. Che sia così per le diverse estrazioni disciplinari è ovvio; si pensi di nuovo al gruppo interdisciplinare che fa un’automobile. Ma la stessa logica vale per la diversità sociale. Le persone differiscono tra loro per razza, genere e altri aspetti; e portano con sé le proprie speciali informazioni ed esperienze, e le applicano al lavoro. Un ingegnere donna e un ingegnere uomo possono avere prospettive diverse quanto quelle di un ingegnere e un fisico, e questo è un bene.
    Le ricerche su grandi organizzazioni innovative hanno più volte mostrato che le cose stanno così. Per esempio, Cristian Deszö e David Ross, professori di business rispettivamente dell’Università del Maryland e della Columbia University, hanno studiato gli effetti della diversità di genere sulle 1500 aziende leader della Standard & Poor’s Composite 1500 List, un raggruppamento inteso a riflettere tutto il mercato dei titoli negli Stati Uniti. Prima hanno esaminato dimensioni e composizione dei vertici aziendali dal 1992 al 2006. Poi hanno guardato ai risultati ottenuti.
    Ciò che hanno scoperto, per citare direttamente le loro parole, è che in media «la presenza femminile nei vertici aziendali conduce a un aumento di 42 milioni di dollari del valore della ditta». Deszö e Ross hanno poi misurato «l’intensità di innovazione» delle aziende attraverso il rapporto tra spese per ricerca e sviluppo e capitale, trovando che quelle che puntavano sull’innovazione ottenevano maggiori ritorni finanziari quando c’erano donne ai vertici.
    La diversità razziale può dare lo stesso tipo di benefici. In uno studio del 2003, Orlando Richard, docente di gestione aziendale all’Università del Texas a Dallas, ha esaminato la dirigenza di 177 banche di livello nazionale negli Stati Uniti, costruendo un database in cui confrontare risultati finanziari, diversità razziale ed enfasi dei presidenti delle diverse banche sull’innovazione. Per le banche più orientate all’innovazione, l’aumento della diversità razziale era chiaramente collegato a migliori risultati finanziari.
    Le prove empiriche dei vantaggi della diversità non sono affatto limitate agli Stati Uniti. Nell’agosto del 2012, il Credit Suisse Research Institute ha pubblicato un rapporto su 2360 aziende di tutto il mondo tra il 2005 e il 2011 cercando correlazioni tra diversità di genere nei consigli di amministrazione e risultati finanziari. Anche in questo caso, i ricercatori hanno trovato che le società con una o più donne nel consiglio avevano in media maggiori ritorni sul capitale, più bassi indici di indebitamento e maggior crescita media.


    La diversità stimola il pensiero
    Gli studi su grandi insiemi di dati hanno un limite ovvio: mostrano solo che la diversità è correlata con migliori prestazioni, ma non che ne è la causa. Le ricerche sulla diversità razziale in piccoli gruppi, però, rendono possibile trarre alcune conclusioni causali. Anche qui, i risultati sono chiari: per i gruppi che apprezzano innovazione e nuove idee, la diversità serve.
    Nel 2006, Margaret Neale della Stanford University, Gregory Northcraft dell’Università dell’Illinois a Urbana-Champaign, e io, abbiamo studiato l’impatto della diversità razziale in piccoli gruppi decisionali con un esperimento in cui per avere successo era essenziale condividere le informazioni. I nostri soggetti erano studenti dei corsi di business. Abbiamo formato gruppi di tre persone – alcuni tutti di bianchi, altri con due bianchi e una persona di altra razza – dando poi loro il compito di indagare su un immaginario assassinio. Tutti i componenti del gruppo avevano lo stesso insieme di informazioni, ma avevamo dato in più a ciascuno di loro un importante indizio ignoto agli altri. Per scoprire l’assassino, i membri del gruppo avrebbero dovuto condividere tutte le informazioni che avevano. I gruppi con diversità razziale hanno ottenuto risultati significativamente migliori. Trovarci fra gente che ci somiglia ci porta a credere di avere tutti le stesse informazioni e lo stesso punto di vista. Questo atteggiamento, che è ciò che impediva ai gruppi interamente bianchi di trattare al meglio le informazioni, è proprio quello che ostacola creatività e innovazione.
    Altri ricercatori hanno ottenuto risultati analoghi. Nel 2004 Antony Lising Antonio, della Stanford Graduate School of Education, ha collaborato con cinque colleghi per esaminare l’influenza della composizione razziale e della diversità delle opinioni sulle discussioni nei piccoli gruppi. Allo studio hanno partecipato oltre 350 studenti di tre università. Ai membri dei vari gruppi è stato chiesto di discutere un’importante questione sociale (il lavoro minorile o la pena capitale) per 15 minuti. Preparate delle relazioni a sostegno delle opinioni minoritarie, i ricercatori le hanno fatte presentare a ciascun gruppo da un membro di razza nera o bianca. Quando era una persona di razza nera a presentare l’opinione dissenziente a un gruppo di bianchi, il suo punto di vista veniva percepito come più nuovo e spingeva il gruppo ad allargare le sue vedute e prendere in considerazione le alternative più di quanto accadeva quando quelle stesse identiche opinioni dissenzienti era presentate da una persona di razza bianca. La lezione è che quando il dissenso proviene da una persona diversa da noi, ci spinge a pensare di più di quando proviene da qualcuno che ci appare simile a noi.
    L’effetto non vale solo per la razza. L’anno scorso, per esempio, Denise Lewin Loyd, docente di gestione aziendale dell’Università dell’Illinois, Cynthia Wang dell’Università statale dell’Oklaoma, Robert B. Lount, Jr. dell’Università statale dell’Ohio e io, abbiamo chiesto a 186 individui se erano democratici o repubblicani, poi abbiamo dato loro da leggere un giallo e chiesto di dirci chi pensavano che fosse il colpevole. Poi, abbiamo chiesto ai soggetti di prepararsi a un incontro con un altra persona scrivendo un testo con il loro punto di vista. In tutti i casi, e questo è l’importante, dicevamo ai partecipanti che la persona da incontrare era in disaccordo con loro ma bisognava che arrivassero a un accordo. A tutti è stato detto di prepararsi a convincere l’altro; a metà dei soggetti, però, è stato detto che avrebbero dovuto esporre le loro ragioni a un sostenitore del partito opposto, e all’altra metà a uno del proprio partito. Il risultato: i democratici cui era stato detto che un altro democratico non era d’accordo con loro si sono preparati per la discussione meno bene di quelli cui era stato detto che a essere in disaccordo era un repubblicano. Lo stesso è accaduto con i repubblicani. Quando il disaccordo proviene da una persona socialmente diversa da noi, ci sentiamo spinti a impegnarci di più. La diversità ci spinge verso azioni cognitive in modi in cui l’omogeneità semplicemente non riesce. Di conseguenza, la diversità porta a fare scienza di qualità migliore. Quest’anno Richard Freeman, docente di Economia alla Harvard University e direttore del progetto Science and Engineering Workforce Project del National Bureau of Economic Research, insieme a Wei Huang, dottorando in economia a Harvard, ha indagato l’identità etnica degli autori di 1,5 milioni di lavori scientifici scritti tra il 1985 e il 2008 usando il Thomson Reuters’ Web of Science, un vasto database delle pubblicazioni di ricerca. Hanno trovato che i lavori scritti da gruppi compositi ricevono più citazioni e hanno un fattore di impatto più alto di quelli scritti da persone dello stesso gruppo etnico. In più, hanno trovato che i lavori migliori erano associati a un maggior numero di indirizzi degli autori; la diversità geografica, e un maggior numero di riferimenti, presumibilmente, riflettono una maggiore diversità intellettuale.


    La forza delle aspettative
    Diversità non significa soltanto mettere in campo modi di vedere diversi. La semplice presenza di diversità sociali in un gruppo fa sì che i suoi componenti si convincano che possano esistere prospettive diverse; e questa convinzione cambia i comportamenti. I membri di un gruppo omogeneo hanno in qualche modo la sicurezza che si troveranno d’accordo; che capiranno gli uni i punti di vista e le credenze degli altri, e che arriveranno facilmente a un punto comune. Ma quando i membri di un gruppo si accorgono di essere socialmente diversi, le loro aspettative cambiano. Si aspettano differenze di opinione e atteggiamenti. Partono dall’idea che per arrivare a una posizione comune bisognerà impegnarsi di più. Questa logica contribuisce a spiegare sia gli aspetti positivi sia quelli negativi della diversità sociale: la gente si sforza e lavora di più quando l’ambiente è ricco di diversità, cognitiva e sociale. Piaccia o non piaccia, un lavoro più duro può dare risultati migliori.
    In uno studio del 2006 sui processi decisionali delle giurie popolari nei processi, lo psicologo sociale Samuel Sommers, della Tufts University, ha scoperto che nel deliberare su un caso di violenza sessuale lo scambio di informazioni nei gruppi razzialmente misti copriva una gamma di elementi più vasta che nei gruppi composti solo da bianchi. In collaborazione con giudici e coordinatori delle giurie di un tribunale del Michigan, Sommers ha condotto una serie di processi simulati, con un gruppo di persone selezionate realmente come giurati. I partecipanti sapevano che la giuria simulata era un esperimento voluto dal tribunale, ma non che il vero scopo della ricerca era studiare l’impatto della diversità razziale sul processo decisionale.
    Sommers ha composto giurie di sei persone, in cui i giurati erano o tutti bianchi o quattro bianchi e due neri. Come potete aspettarvi a questo punto, le giurie non omogenee si sono rivelate migliori nel considerare i fatti, hanno compiuto meno errori nel ricordare le informazioni pertinenti e discusso in modo più aperto del ruolo dei fattori razziali. I miglioramenti non erano necessariamente dovuti al fatto che i giurati neri davano al gruppo nuove informazioni – erano i giurati bianchi a comportarsi in modo diverso in presenza di quelli neri. Dove c’era diversità, c’era più diligenza e apertura mentale.


    Un esercizio di gruppo
    Immaginate questa situazione: dovete scrivere una sezione di un rapporto da presentare a un prossimo convegno. Vi aspettate qualche disaccordo e difficoltà di comunicazione perché la persona con cui collaborate è americana, e voi siete cinese. A causa di questa singola differenza sociale, potreste fare attenzione ad altre differenze tra voi e l’altra persona – di cultura, educazione ed esperienze – differenze che non vi aspettereste se fosse anch’essa cinese. Come vi preparate per l’incontro? Con tutta probabilità, vi impegnerete a spiegare i vostri ragionamenti e anticipare le possibili alternative più a fondo di quanto non avreste fatto altrimenti.
    È così che funziona la diversità: promuovendo il duro lavoro e la creatività; spingendoci a considerare le alternative prima ancora di cominciare le interazioni personali. Se la diversità fa soffrire, è una sofferenza che somiglia a quella dell’allenamento sportivo. Per far crescere i muscoli bisogna impegnarsi. Senza dolore non si migliora. Allo stesso modo, abbiamo bisogno della diversità – nei gruppi, nelle organizzazioni e nell’insieme della società – se vogliamo cambiare, crescere e innovare.


    Katherine W. Phillips ricopre la cattedra di Leadership and Ethics intitolata a Paul Calello e l’incarico di vice rettore senior presso la Columbia Business School.
     
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